“Una tranquilla estate di paura”di Federico Traversa

Come estate non è stata il massimo, ammettiamolo. La definirei “Una tranquilla estate di paura”, storpiando il titolo di un celebre film.

La foresta amazzonica che brucia. Sempre più plastica ad affogare l’oceano e avvelenare i pesci. L’ebola in Nuova Guinea che ammazza con disarmante facilità ma siccome non esce dall’Africa e non c’è da lucrare troppo sul vaccino – che tra l’altro già c’è – i fratelli neri vengono lasciati morire tra atroci sofferenze. I ghiacciai che si sciolgono alla velocità della luce. Un mondo le cui proiezioni più ottimistiche vedono a un passo dall’autodistruzione. E noi sui social a chiederci chi ci sia dietro Greta Thunberg, cosa realmente voglia questa nuova lobby ecologica o, peggio, perdendoci in ridicole quanto inutili ipotesi sulla crisi di governo.

Già perché mentre il mondo avvelenato ‘ha da pensar a cose più serie, costruir su macerie e mantenersi vivo‘, qui da noi è caduto pure il governo gialloverde, con buona pace di tanti ma non di tutti, e sta per nascere quello giallorosso. Praticamente si fa il giro dell’arcobaleno nella speranza che un daltonico ci metta una pezza.

Roba tosta, amici, in tutti i sensi.

Ma partiamo dagli incendi in Amazzonia, il polmone verde che ossigena questo nostro pazzo mondo. E noi che si fa? Lo si preserva? Macché, si arrostisce una bella fetta di foresta, che già è in pericolosa regressione da decenni, e tanti saluti. Ma perché siamo tanto idioti? La risposta è quasi più stupida della nostra economia di massa: per far posto agli allevamenti intensivi di bestie o di mangimi per le suddette.

Amici vegani non esultate. Se smettessimo di mangiare carne – scelta comunque etica che condivido e apprezzo – non si risolverebbe il problema e lo stesso enorme spazio verrebbe probabilmente utilizzato per coltivare la beneamata soia, che sta alla base di qualsiasi dieta non carnivora.

Il problema è un altro: a questo mondo ormai siamo in troppi. Nel 1900 si stima che la popolazione mondiale fosse di un miliardo e 650 milioni. Nel 1950 è salita a due miliardi e mezzo e nel 2000 è arrivata a sei miliardi mentre oggi siamo circa 7 miliardi e settecento milioni di persone. Praticamente in cento anni ci siamo quasi quintuplicati! Peccato che la superficie della terra sia sempre la stessa, anzi quella vivibile sempre meno perché con il riscaldamento globale alcune zone stanno diventando non più adatte alla vita.

E quindi? Quindi anche un bambino capirebbe che così non può funzionare. E sempre quello stesso bambino suggerirebbe di smetterla di invitare la popolazione a consumare risorse come se fossero infinite, smettere di esortare le persone a fare figli su figli perché tra poco non ci saranno più spazi e risorse a sufficienza per tutti. Ma il nostro sistema economico si guarda bene da suggerire una cosa del genere perché si basa sul consumo e sui debiti contratti dai nuovi nati, che saranno chiamati a lavorare per pagare le misere pensioni degli ultrasettantenni (perché fino ad allora si sarà costretti a lavorare fra non molto) che, grazie al business delle medicine, forse vivranno qualche anno in più.

Un sistema pazzo e fallimentare che quando crollerà farà tanto, tantissimo rumore. Un sistema che non può vincere. Perché è perverso – come diceva il grande Tiziano Terzani – pensare che progresso voglia dire crescita. Un concetto assurdo legittimato dagli occhi a forma di dollaro e dall’ignoranza di chi tira le fila di questa sanguinaria economia globale. Ma perché invece di inseguire la crescita ogni anno non proviamo a produrre lo stesso lavorando e consumando di meno?

Simili pensieri nell’economia attuale sono considerati bestemmie. Quando in qualità di responsabile editoriale di Chinaski Edizioni vengo invitato all’annuale incontro con le varie reti vendita oppure le librerie di catena, non ci si raffronta mica sui programmi, sull’etica, sui sogni. Manco per le palle. Si ragiona sui numeri. Quest’anno hai fatturato 10 con tre libri, un altr’anno devi fare 15 con cinque libri. E se tu provi a dire: “Ok, ma se facessi 9 con due libri sarebbe ugualmente buono, non credete?” vieni additato come un hippy di merda che non sa stare al mondo e non ha voglia di lavorare. Uno smidollato senza sogni, che si accontenta.

E qui parlo del nobile mondo dell’editoria ma credo che negli altri ambienti forse sia anche peggio.

Non capiamo più che siamo qui di passaggio, che la transitorietà tanto nostra che della materia che possediamo deve essere l’unica bussola per vivere in maniera più consapevole, distaccata e fiera, con il traguardo ultimo di lasciare questo mondo che ci ha accolto un po’ meglio di come lo abbiamo trovato. ‘Fasti non foste a viver come bruti‘ scriveva Dante, e nemmeno per consumare a bocca aperta come maiali in un porcile aggiungerei. La natura non è lì perché l’uomo ne faccia quello che vuole. La vita è una danza di tutte le componenti dell’universo che funziona al meglio quando è armonica. È un oceano pieno di plastica non è armonico, così come non lo sono una foresta che brucia, file chilometriche di auto incolonnate per chissà dove, le zucchine e i pomodori tutto l’anno o il mangiare frutta e carne che vengono da paesi che non hai mai sentito nominare, distanti anni luce esattamente come lo siamo noi da quella magnifica armonia che sta alla base della vita.

Occhio perché se questa è stata una tranquilla estate di paura, le prossime potrebbero essere “The Day After”, parafrasando un altro vecchio film che mostrava il mondo il giorno successivo a un conflitto nucleare. Ma se allora la fine era segnata dalla bomba atomica oggi è tutto, se possibile, ancora più stupido eppure sottile.

Ci estingueremo per comodità: un peccato mortale.

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