Archive for Settembre 2019

A volte sei tu che mangi l’orso, a volte è l’orso che mangia te – Tre libri da leggere per vincere il ritorno al lavoro. Di Federico Traversa

Non è stata una bella estate per il sottoscritto, ci sono stati alcuni problemi da affrontare e la serenità che tanto amo, e a cui tanto bramo, ha bussato poco alla mia porta. Però, fra un’incazzatura e uno scongiuro, la stagione delle vacanze da poco terminata qualcosa di buono mi ha lasciato: il tempo di leggere. E, cosa assai rara, dei tre libri letti nel torrido mese di agosto nessuno mi ha deluso, anzi. Tutti mi hanno motivato a mille nel cercare di focalizzare meglio la mia attenzione, prendermi più tempo per vivere le cose che mi piacciono e che ritengo importanti, e accettare con serenità ciò che non posso cambiare. Più altre varie ed eventuali. Niente male, vero?

E poi c’è ancora chi dice che leggere non serva a niente.

Quindi, amici, eccomi a condividere con voi questi tre gioielli, nella speranza che possano darvi quei benefici che hanno regalato al sottoscritto.

Partiamo dal primo, che ha compiuto un vero miracolo: mi ha fatto tornare la voglia di scrivere. L’avevo persa, credo non sia un segreto, visto che a parte Rock is Dead (scritto più di due anni fa insieme ad Episch e figlio del nostro programma in radio), sono quasi cinque anni che non pubblico qualcosa di nuovo e vivo di ristampe e nuove edizioni dei libri vecchi. Fortunatamente “Un Indovino mi Disse” del grande Tiziano Terzani è riuscito a ricordarmi perché il nostro è un mestiere bellissimo. Perché scrivere è bellissimo.

Si tratta di un testo scritto con cuore e testa che esplora la contraddittoria Asia con la pazienza e la passione con cui si crea un mandala dai mille colori. Due parole sulla trama di questo strepitoso reportage di viaggio: nel 1976 un indovino cinese predice a Terzani che nel 1993 correrà il rischio di morire in un incidente aereo. Giunto alla fine del 1992, il giornalista toscano si ricorda della profezia e decide, più per gioco che per paura, di trascorrere l’intero 1993 senza mai utilizzare aerei ed elicotteri, cosa non semplice se di mestiere fai il corrispondente dall’Asia. Ottenuto da Der Spiegel, il settimanale tedesco per cui lavora, il permesso di non prendere voli per un anno, Terzani racconta il suo incredibile viaggio nel cuore dell’Oriente rispettando la profezia, e quindi muovendosi solo grazie a treni, imbarcazioni, macchine o autobus. E intanto – mentre strada facendo ci racconta magie e tragiche contraddizioni di paesi come Laos, Malesia, Birmania, Cambogia, Mongolia, Cina, Indonesia, Vietnam, eccetera, eccetera – cerca ogni sorta di indovini e astrologi a cui chiedere conferme a proposito della macabra profezia. Un libro non solo da leggere ma da vivere, possibilmente pianificando il prossimo viaggio con la consapevolezza che è sempre meglio, come diceva Terzani, essere pellegrini che turisti.

Ma ora cambiamo genere. Ve lo ricordate il “Il Grande Lebowski?” Più che un film una filosofia di vita, e infatti così viene trattato nello straordinario libro intitolato “Il Drugo e il Maestro di Zen” di Jeff Bridges e Bernie Glassman. Il primo è lo straordinario attore che interpretava lo stralunato Lebowski; buddista praticate da anni, talentuoso musicista e ricercatore spirituale, Jeff è un tipo decisamente interessante. Ma mai come Bernie, l’altro autore del libro. Ex ingegnere aerospaziale, poi maestro di zen fra i più apprezzati degli States, clown per i bambini vittime della guerra e filantropo per i senza tetto del paese, la sua visione della vita è di una semplicità e una bontà quasi disarmanti. I due, amici da una vita, passano un lungo fine settimana insieme in mezzo alla natura discutendo di zen, cinema, filosofia, amore, morte, nascita e vita, fra una citazione del Buddha e una del ‘drugo’. Raramente mi è capitato di leggere qualcosa di tanto profondo e rinfrescante.

Il terzo libro, che ho riletto a distanza di venticinque anni dalla prima volta, più che insegnarmi qualcosa mi ha ricordato quello che già sapevo: non esiste il paradiso e la droga fa male. Pubblicato agli inizi degli anni settanta, “Flash – Katmandu il grande Viaggio” è un capolavoro, forse il più bel libro di viaggio tout court che abbia letto. Se qualcuno ne conosce altri ugualmente avvincenti è pregato di comunicarmelo all’istante. Flash è un libro che leggi a diciassette anni e poi inizi a viaggiare e a drogarti. Poi lo rileggi a 30 e, sei furbo, smetti e torni a casa.

Alla mia età invece te lo godi e basta. Ti godi il racconto di un oriente mitico che non esiste più. Ti godi l’esodo dei giovani hippy che sognavano un nuovo mondo possibile e che il potere ha annientato con speculazioni facili e droga a buon mercato. Ti godi l’innocenza di un mondo che si rallegrava nel progresso ancora ignaro che poi sarebbe arrivato il conto.

Anche qui due parole sulla trama: siamo nel 1969 e il francese Charles Duchassois, allora quasi trentenne, è un tipo sgamato che decide di viaggiare libero in cerca d’avventura ed esperienze forti. Il suo pellegrinaggio lo porta sulle montagne del Libano, con il traffico d’armi e la raccolta dell’hashish, salvo poi condurlo a Istanbul, dove scopre che fumare lo chilon è un’esperienza parecchio divertente; quindi va a Bagdad e poi in India, dove sperimenta l’oppio e altre esotiche stranezze locali, prima che una storia d’amore sbagliata lo conduca nell’inferno di Katmandu dove allora la droga, tutta la droga, è praticamente libera e accessibile a tutti. Da qui la disperata discesa in un inferno fatto di morfina, metedrina, e ogni genere di porcheria. Un degrado inarrestabile che spinge l’autore a scegliere di lasciarsi morire di droga e stenti sulle montagne nepalesi.

Non accadrà, verrà salvato e rimpatriato in Francia, e con il suo arrivo l’occidente per la prima volta vedrà come si riduce un uomo quando diventa un vero e proprio junkie.

Eccole le mie tre chicche, i miei libri da leggere per vincere il ritorno al lavoro e, motivati a mille, magari cambiarlo se non vi soddisfa, oppure salutare tutti, prendere le proprie cose e andare in Asia in treno. O, se siete tipi più rudi, volare fino a Katmandu in cerca di emozioni forti, ma con giudizio sennò vi rimpatriano completamente pazzi che pesate trenta chili.

Personalmente preferisco un bel fine settimana lungo, nella natura, a discutere con qualche amico saggio di quanto zen sia la frase: “A volte sei tu che mangi l’orso, a volte è l’orso che mangia te”. D’altronde non sono mai stato questo grande viaggiatore… e comunque il Buddha che conservo sulla mensola, credetemi, dà davvero un tono all’ambiente.

“Una tranquilla estate di paura”di Federico Traversa

Come estate non è stata il massimo, ammettiamolo. La definirei “Una tranquilla estate di paura”, storpiando il titolo di un celebre film.

La foresta amazzonica che brucia. Sempre più plastica ad affogare l’oceano e avvelenare i pesci. L’ebola in Nuova Guinea che ammazza con disarmante facilità ma siccome non esce dall’Africa e non c’è da lucrare troppo sul vaccino – che tra l’altro già c’è – i fratelli neri vengono lasciati morire tra atroci sofferenze. I ghiacciai che si sciolgono alla velocità della luce. Un mondo le cui proiezioni più ottimistiche vedono a un passo dall’autodistruzione. E noi sui social a chiederci chi ci sia dietro Greta Thunberg, cosa realmente voglia questa nuova lobby ecologica o, peggio, perdendoci in ridicole quanto inutili ipotesi sulla crisi di governo.

Già perché mentre il mondo avvelenato ‘ha da pensar a cose più serie, costruir su macerie e mantenersi vivo‘, qui da noi è caduto pure il governo gialloverde, con buona pace di tanti ma non di tutti, e sta per nascere quello giallorosso. Praticamente si fa il giro dell’arcobaleno nella speranza che un daltonico ci metta una pezza.

Roba tosta, amici, in tutti i sensi.

Ma partiamo dagli incendi in Amazzonia, il polmone verde che ossigena questo nostro pazzo mondo. E noi che si fa? Lo si preserva? Macché, si arrostisce una bella fetta di foresta, che già è in pericolosa regressione da decenni, e tanti saluti. Ma perché siamo tanto idioti? La risposta è quasi più stupida della nostra economia di massa: per far posto agli allevamenti intensivi di bestie o di mangimi per le suddette.

Amici vegani non esultate. Se smettessimo di mangiare carne – scelta comunque etica che condivido e apprezzo – non si risolverebbe il problema e lo stesso enorme spazio verrebbe probabilmente utilizzato per coltivare la beneamata soia, che sta alla base di qualsiasi dieta non carnivora.

Il problema è un altro: a questo mondo ormai siamo in troppi. Nel 1900 si stima che la popolazione mondiale fosse di un miliardo e 650 milioni. Nel 1950 è salita a due miliardi e mezzo e nel 2000 è arrivata a sei miliardi mentre oggi siamo circa 7 miliardi e settecento milioni di persone. Praticamente in cento anni ci siamo quasi quintuplicati! Peccato che la superficie della terra sia sempre la stessa, anzi quella vivibile sempre meno perché con il riscaldamento globale alcune zone stanno diventando non più adatte alla vita.

E quindi? Quindi anche un bambino capirebbe che così non può funzionare. E sempre quello stesso bambino suggerirebbe di smetterla di invitare la popolazione a consumare risorse come se fossero infinite, smettere di esortare le persone a fare figli su figli perché tra poco non ci saranno più spazi e risorse a sufficienza per tutti. Ma il nostro sistema economico si guarda bene da suggerire una cosa del genere perché si basa sul consumo e sui debiti contratti dai nuovi nati, che saranno chiamati a lavorare per pagare le misere pensioni degli ultrasettantenni (perché fino ad allora si sarà costretti a lavorare fra non molto) che, grazie al business delle medicine, forse vivranno qualche anno in più.

Un sistema pazzo e fallimentare che quando crollerà farà tanto, tantissimo rumore. Un sistema che non può vincere. Perché è perverso – come diceva il grande Tiziano Terzani – pensare che progresso voglia dire crescita. Un concetto assurdo legittimato dagli occhi a forma di dollaro e dall’ignoranza di chi tira le fila di questa sanguinaria economia globale. Ma perché invece di inseguire la crescita ogni anno non proviamo a produrre lo stesso lavorando e consumando di meno?

Simili pensieri nell’economia attuale sono considerati bestemmie. Quando in qualità di responsabile editoriale di Chinaski Edizioni vengo invitato all’annuale incontro con le varie reti vendita oppure le librerie di catena, non ci si raffronta mica sui programmi, sull’etica, sui sogni. Manco per le palle. Si ragiona sui numeri. Quest’anno hai fatturato 10 con tre libri, un altr’anno devi fare 15 con cinque libri. E se tu provi a dire: “Ok, ma se facessi 9 con due libri sarebbe ugualmente buono, non credete?” vieni additato come un hippy di merda che non sa stare al mondo e non ha voglia di lavorare. Uno smidollato senza sogni, che si accontenta.

E qui parlo del nobile mondo dell’editoria ma credo che negli altri ambienti forse sia anche peggio.

Non capiamo più che siamo qui di passaggio, che la transitorietà tanto nostra che della materia che possediamo deve essere l’unica bussola per vivere in maniera più consapevole, distaccata e fiera, con il traguardo ultimo di lasciare questo mondo che ci ha accolto un po’ meglio di come lo abbiamo trovato. ‘Fasti non foste a viver come bruti‘ scriveva Dante, e nemmeno per consumare a bocca aperta come maiali in un porcile aggiungerei. La natura non è lì perché l’uomo ne faccia quello che vuole. La vita è una danza di tutte le componenti dell’universo che funziona al meglio quando è armonica. È un oceano pieno di plastica non è armonico, così come non lo sono una foresta che brucia, file chilometriche di auto incolonnate per chissà dove, le zucchine e i pomodori tutto l’anno o il mangiare frutta e carne che vengono da paesi che non hai mai sentito nominare, distanti anni luce esattamente come lo siamo noi da quella magnifica armonia che sta alla base della vita.

Occhio perché se questa è stata una tranquilla estate di paura, le prossime potrebbero essere “The Day After”, parafrasando un altro vecchio film che mostrava il mondo il giorno successivo a un conflitto nucleare. Ma se allora la fine era segnata dalla bomba atomica oggi è tutto, se possibile, ancora più stupido eppure sottile.

Ci estingueremo per comodità: un peccato mortale.