Archive for Maggio 2021

Quel live di Battiato all’ombra della luce

di Federico Traversa

Arrivai ad Alassio comodo, un’oretta prima del concerto. Con mia moglie Daria – incinta di quello che circa sei mesi dopo sarebbe diventato Leonardo, per tutti “little satan, il nostro secondo figlio” – avevamo deciso che niente ci avrebbe impedito di vedere il concerto del maestro Battiato. Non le nausee, non il lavoro, non il dover tornare a rotta di collo a casa entro la mezzanotte per liberare la babysitter del nostro primo, tranquillissimo figlio Alessandro – per tutti “il piccolo Buddha”. Nessuno poteva rubarci quella bella serata d’estate che avevamo deciso di regalarci prima di tuffarci in una nuova esperienza da genitori e in tutta una serie di allucinanti problemi che – allora questo non lo sapevamo ancora – la vita presto ci avrebbe sbattuto senza garbo sull’uscio di casa.

Avevo inoltre saputo da un amico giornalista molto vicino a Battiato, che il maestro era prossimo al ritiro e quella sarebbe stata una delle ultime occasioni in cui vederlo dal vivo. Il mio amico non si era lasciato scappare nient’altro, resistendo ai miei reiterati tentativi di saperne di più e trincerandosi dietro un “mi spiace non posso dirti altro”.

Il parco San Rocco sembrava un teatro greco, una location altamente suggestiva. E noi stavamo aspettando un artista che poteva tranquillamente passare per la reincarnazione di Platone. Tutto tornava, insomma, eccome se tornava.

Il tempo di ritirare gli accrediti e mangiare un panino sui gradoni e sul palco salì Giovanni Caccamo, vincitore di un Sanremo Giovani di qualche anno prima. Ugola delicata e un tocco al pianoforte abbastanza efficace le sue armi per scaldare il pubblico.

Mi spostai dietro il palco proprio poco prima dell’arrivo di Franco. Sorridente, etereo, divertito ed elegante uscì da un macchinone scuro all’improvviso. Riuscii ad intercettarlo al volo e a regalargli il mio libro sulla meditazione trascendentale, prima che venisse strappato dallo staff e condotto negli spogliatoi, giusto un piano sotto. Dieci minuti dopo eccolo risalire, fra il boato di almeno tre generazioni diverse. Una devozione quasi religiosa che Battiato si era guadagnato emozionando e creando bellezza in modo personale e totalmente suo per oltre quarant’anni. E a chi gli aveva chiesto, quasi come fosse un rimprovero, come avesse fatto lui, cantante sperimentale d’avanguardia, ad adeguarsi al becero ambiente del pop da classifica, candidamente aveva risposto: “Semplice, ho portato il mio mondo nel loro, e non il loro nel mio”.

Quella sera aprì con L’Ombra della Luce, che intonò proprio mentre il sole stava tramontando. Da brividi.

Difendimi dalle forze contrarie
La notte, nel sonno, quando non sono cosciente
Quando il mio percorso si fa incerto
E non abbandonarmi mai
Non mi abbandonare mai

L’orchestra – piano, effetti e quattro archi – cuciva sottofondi delicati, sui quali la voce impastata di misticismo e mestiere dell’artista catanese si accomodava consapevole, con lo stesso confort con cui il suo karmico sedere poggiava sul solito tappeto persiano, immancabile seduta a ogni concerto.

Con Daria era una gara a chi si emozionava di più. Per lei Franco era unico. Per me pure. Spiritualità e musica erano le passioni che accendevano le mie notti invitandomi a spendermi durante il giorno. E il maestro Battiato le incarnava entrambe.

Con Le sacre sinfonie del tempo provai pura e autentica beatitudine.

Che siamo angeli caduti in terra dall’eterno
Senza più memoria: per secoli, per secoli
Fino a completa guarigione

Avevo ancora gli occhi chiusi quando attaccò una sequela di classici, con la beatitudine ad allargarsi a tutto il pubblico, anche quello meno attento, che letteralmente impazzì. La Cura, Summer on a solitary Beach, La Stagione dell’Amore, E Ti Vengo a cercare, Gli Uccelli, e via con alcuni dei passaggi più conosciuti della sua variegata discografia.

Due ore di concerto che volarono alte, come i gabbiani che regnano sui cieli della riviera. Al momento del bis i più esagitati invasero pacificamente il palco per stringere la mano al maestro, complimentarsi, farsi una foto. E lui sorridente, disponibile, empatico, a eseguire gesti e consuetudini di una vita trascorsa sul palco.

Poi, al suono di Le Nostre Anime il buon Franco salutò tutti, scese le scale, salì veloce in macchina e via.

Il mistico aveva lasciato la città.

Qualche mese dopo la carriera.

E dopo qualche altro silenzioso e chiacchierato anno, anche questo mondo.

Sciolto in un oceano di silenzio.

Franco Battiato, un artista unico e solo, diverso da tutti. D’altronde, come diceva lui stesso nell’omonima canzone, le aquile non volano a stormi.

Giorni Tossici: Da Sanpa a Christiane F, da Fabio Cantelli a Nikki Sixx, la cultura dell’eroina è tornata di moda?

Di Federico Traversa

Pare che nel 2021 l’eroina sia tornata di gran moda, perlomeno in tv o negli scaffali delle librerie. E lo ha fatto con una serie di proposte interessanti e profonde, nonostante le loro innegabili diversità. Prima è stata la volta di Sanpa, la docu-serie sulla celebre e controversa comunità fondata da Vincenzo Muccioli, di cui ho già ampiamente parlato su questo spazio (https://www.chinaski-edizioni.com/2021/02/sanpa-luci-e-ombre-di-vincenzo-muccioli/). Poi è uscito “Sanpa – Madre amorosa e crudele”, illuminante opera letteraria del dandy narcoticamente cosmico Fabio Cantelli, che di Muccioli e della sua comunità è stato ospite, portavoce e grillo parlante. Un testo poetico, visionario, crudo e scintillante quello di Fabio, tipico degli estrosi senza pelle, che sentono troppo e forse male, ma quando quel troppo lo trasmettono agli altri sanno emozionare e affondare nella carne come schegge di vetro. Quindi è arrivata su Amazon Prime la serie remake “Christian F e lo Zoo di Berlino”, quarant’anni dopo il celebre film tratto dall’altrettanto celebre libro, ossia la storia di questa ragazzina tedesca sedotta, insieme ai suoi giovanissimi amici, dalla “quiete sotto la pelle”, parafrasando ancora Cantelli. Una serie strana, che all’inizio quasi infastidisce nel “glamourizzare” l’eroina e i suoi cliché ma andando avanti con le puntate trova una sua cifra espressiva che riesce a emozionare e disturbare – sospetto più noi negli “anta” che i ragazzi che oggi hanno l’età che allora aveva Christiane – ma di certo non lascia indifferenti. E poi, last but not least, c’è lui: Nikki fottuto Sixx e suoi “The Heroin Diaries”, che abbiamo riportato in Italia per un’edizione del decennale più ricca e aggiornata trovandoci, un po’ a sorpresa, tra le mani un best seller, che sta persino superando il già incredibile successo della storica prima edizione.

La cosa mi riempie di gioia perché si tratta di un volume di rara intensità, assolutamente unico nel suo genere, uno di quei libri che se ti capita di leggere poi te lo ricordi tutta la vita. Ancor più sorprendente è che a scrivere una così innovativa opera letteraria sia stato il bassista e leader di una delle rock band più sregolate, pazze e sfrontate della recente storia della musica: i Motley Crue. Voglio dire, un libro di tale profondità te lo saresti aspettato da un Bob Dylan, un Jim Morrison o, che so, un Eddie Vedder. E invece Nikki ha stupito tutti, a partire probabilmente da se stesso. “The Heroin Diaries” è, per certi versi, il libro giusto al momento giusto. Definito dalla stampa americana “uno dei memoir rock più belli di tutti i tempi”, è entrato direttamente in top ten nelle biografie più vendute anche qui in Italia, tallonando titoli blockbuster come quelli di Obama e Carlo Verdone Una cosa impensabile per una pubblicazione di questo tipo. Ma non è per questo che si tratta del libro giusto al momento giusto. Vedete, in un periodo in cui si sta tornando a parlare, e tanto, di eroina, i diari di Sixx rappresentano una testimonianza brutalmente onesta e sincera per comprendere le dinamiche mentali che si agitano dentro chi soffre di una qualche dipendenza. E vedere che a cadere sono anche rockstar miliardarie protette dal paracadute dei soldi e della fama, rende il tutto ancora più sinistro e pericoloso. Un monito importante per evitare di fare cazzate. Quando una rockstar miliardaria ti racconta che, mentre tutto il mondo lo ama alla follia e affolla i suoi concerti, lui se ne sta nascosto nello sgabuzzino in paranoia, con un ago del braccio, armato fino ai denti e vedendo mostri uscire dai muri, capisci forte e chiaro che il party con la roba è un gioco sempre a perdere, anche se ti chiami Nikki Sixx, ha il conto in banca a nove zeri e file di ragazze stupende che vogliono solo sparpagliare i capelli sul tuo ventre.

Annovero certamente questo libro tra le letture più brutali, appassionate e, passatemi il termine, sconvolgenti che mi sia capitato di leggere. E sono felice che oggi sia diventato un testo fondamentale per il percorso di recovery di molti, a partire da Nikki, che ormai è pulito da oltre 15 anni e nel libro racconta delle tante persone che negli anni gli hanno confessato di aver incominciato il proprio percorso di recupero proprio dopo la lettura del suo libro.

Non so se vedere il documentario su Muccioli, la serie sui ragazzi dello Zoo di Berlino oppure leggere i libri di Cantelli e Sixx possa aiutare davvero chi è invischiato nelle varie dipendenze. Ma di una cosa sono certo: aiuta tutti noi a capire un po’ più a fondo il mondo delle tossicomanie, a partire dalle dinamiche che le abitano e regolano. Che non è cosa da poco.

E poi, Cantelli e Sixx scrivono da dio.

L’Inter, i 30 mila in piazza e il saggio nella grotta: Pazza Italia, amala…

di Federico Traversa

Da quando è iniziata questa pandemia, siamo stati chiamati a gestire la nostra libertà passando attraverso la maglia stretta delle restrizioni e utilizzando la bussola del buon senso e della pazienza.

E questo perché, 3 milioni di morti nel mondo sono un numero intollerabile. Ho perso un persona cara meno di un anno fa ed è stata una tragedia; moltiplicare questa sofferenza per 3 milioni di volte porta un dolore non facilmente sopportabile.

Una piccola premessa: da anni in questo paese “qualcosa” – chiamiamola mala politica, incompetenza, corruzione, mal governo, sistema corrotto, fate voi – si mangia gran parte delle risorse comuni, portandosi a casa anche agli avanzi. Per questo non siamo stati in grado di sostenere con soldi veri – non elemosina – le tante attività costrette alla chiusura dal lockdown. E sempre per questo, da qualche giorno si è deciso di riaprire tutto invece di aspettare la conclusione di almeno una buona parte della campagna vaccinale. Ci sta, nella vita fai quello che la tua condizione ti permette. E la nostra, di condizione, rasenta le pezze al sedere. Il presupposto affinché tale scelta funzioni, tuttavia, è che le persone si affidino a quel buon senso di cui parlavamo all’inizio, evitando comportamenti che possano far salire nuovamente la curva dei contagi, con conseguenti nuove chiusure, ennesimo collasso del sistema sanitario e sempre più morti.

Ora, a me non piace girare con la mascherina, credetemi. Mi da fastidio, irrita la pelle e mi rovina il look da ultra-quarantenne stropicciato che tanto amo. Eppure me la metto sempre quando esco, è una questione di rispetto. Non mi sento un rivoluzionario a toglierla, mi sento un imbecille irrispettoso a non metterla. E ancora: non mi piace vedere mio figlio imbavagliato, vorrei vederlo libero di sputacchiare la sua emozione addosso al mondo come facevo io alla sua età. Però faccio in modo che se la metta e – grazie a tanta fortuna ma anche all’attenzione da parte sua, dei suoi compagni e degli insegnanti – la sua classe fino ad ora si è fermata una sola settimana in tutto l’anno, facendo lezioni sempre in presenza.

Non vivo da recluso. Esco, vado in spiaggia, in campagna, cammino ogni giorno, stando però attento a non infilarmi in situazioni affollate, perché in questo momento non è il caso. Piccole attenzioni per cercare di aiutare, tanto me quanto il mondo, a tornare a una parvenza di normalità. Comportamenti che probabilmente non basteranno a non contagiarmi se poi, quando sono in coda al supermercato, il tipo dietro di me mi sta a 20 cm abbassandosi la mascherina sotto il naso o se la riapertura delle attività per “gravi motivi di miseria” viene vista dal mio prossimo come un liberi tutti e “in culo al coronavirus”. Comunque, nel dubbio, cerco di fare il mio. In tanti lo fanno. Sacrifici, piccoli o grandi, che in questi mesi hanno toccato tutti seppur, questo va riconosciuto, non nello stesso modo. Ma non è questo il punto. Il problema è un altro.

Ieri l’Inter ha vinto il campionato. E allora, ciao ciao buon senso. 30mila in piazza a festeggiare lo scudetto, assembrati, senza mascherina, abbracciandosi e sputandosi addosso i nomi dei giocatori che meritatamente hanno raggiunto un così importante obbiettivo (fosse stata un’altra squadra a vincere, sia chiaro, sarebbe stato lo stesso). Tutti in piazza, tutti a far festa, che tanto “andrà tutto bene”… e ora diglielo a ristoratori e albergatori alla canna del gas, musicisti e lavoratori dello spettacolo alla fame, baristi… spiegate alla gente normale il metro di distanza, il disinfettare tutto, la DAD per gli studenti, i cinema chiusi, i concerti che non si possono fare…

Ma non è di questo che voglio parlare. Il senso di quello che desidero comunicare è tutt’altro. Oggi, ancor più di ieri, capisco che Buddha, Shankara, Maharishi e i tanti saggi che negli anni mi hanno nutrito con i loro insegnamenti avevano ancor più ragione di quanto pensassi. Finalmente capisco cosa voleva dire Terzani quando parlava di isolarsi dal mondo per riuscire a capire la vita. Adesso mi è chiaro perché Buddha non era un rivoluzionario, o perché molti mistici della storia se ne stavano per conto loro, apparentemente fregandosene delle ingiustizie sociali. Da dentro una grotta o nascosti in un ashram ai loro seguaci dicevano solo “medita, cerca le risposte dentro te stesso, comprendi e governa la tua mente, scopri chi sei”.

Avevano ragione. Ai 30 mila imbecilli di ieri, al tipo che se ne frega del Covid perché pensa sia una montatura fatta ad arte da quelli che hanno costruito il 5G, o al politico che si vende il proprio paese per quaranta denari, non lo cambi spiegandogli le cose o scendendo in piazza a manifestare. Se però cambi te stesso, diventi immune alla sofferenza, impermeabile a paura, avidità, ingiustizie e pene (ma coltivando sempre la compassione), lui certamente resterà sé stesso, ma un sé stesso divorato dall’invidia. Invidierà la tua calma, la tua pace interiore, il tuo distacco, il tuo equilibrio. Non potrà comprare queste qualità con il denaro né ottenerlo con una scazzottata. Ma le desidererà ardentemente.

E allora si convincerà a fare quello che fai tu per poterti assomigliare.

Adesso capisco cosa intendeva dire Gandhi con “cerca di essere il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”. Ora so quanto possa essere più salutare chiudersi a meditare in una grotta o sulle cime di un monte che urlare a squarciagola in una piazza gremita “i campioni d’Italia siamo noi”.

Pazza Italia, amala…