Quel live di Battiato all’ombra della luce

di Federico Traversa

Arrivai ad Alassio comodo, un’oretta prima del concerto. Con mia moglie Daria – incinta di quello che circa sei mesi dopo sarebbe diventato Leonardo, per tutti “little satan, il nostro secondo figlio” – avevamo deciso che niente ci avrebbe impedito di vedere il concerto del maestro Battiato. Non le nausee, non il lavoro, non il dover tornare a rotta di collo a casa entro la mezzanotte per liberare la babysitter del nostro primo, tranquillissimo figlio Alessandro – per tutti “il piccolo Buddha”. Nessuno poteva rubarci quella bella serata d’estate che avevamo deciso di regalarci prima di tuffarci in una nuova esperienza da genitori e in tutta una serie di allucinanti problemi che – allora questo non lo sapevamo ancora – la vita presto ci avrebbe sbattuto senza garbo sull’uscio di casa.

Avevo inoltre saputo da un amico giornalista molto vicino a Battiato, che il maestro era prossimo al ritiro e quella sarebbe stata una delle ultime occasioni in cui vederlo dal vivo. Il mio amico non si era lasciato scappare nient’altro, resistendo ai miei reiterati tentativi di saperne di più e trincerandosi dietro un “mi spiace non posso dirti altro”.

Il parco San Rocco sembrava un teatro greco, una location altamente suggestiva. E noi stavamo aspettando un artista che poteva tranquillamente passare per la reincarnazione di Platone. Tutto tornava, insomma, eccome se tornava.

Il tempo di ritirare gli accrediti e mangiare un panino sui gradoni e sul palco salì Giovanni Caccamo, vincitore di un Sanremo Giovani di qualche anno prima. Ugola delicata e un tocco al pianoforte abbastanza efficace le sue armi per scaldare il pubblico.

Mi spostai dietro il palco proprio poco prima dell’arrivo di Franco. Sorridente, etereo, divertito ed elegante uscì da un macchinone scuro all’improvviso. Riuscii ad intercettarlo al volo e a regalargli il mio libro sulla meditazione trascendentale, prima che venisse strappato dallo staff e condotto negli spogliatoi, giusto un piano sotto. Dieci minuti dopo eccolo risalire, fra il boato di almeno tre generazioni diverse. Una devozione quasi religiosa che Battiato si era guadagnato emozionando e creando bellezza in modo personale e totalmente suo per oltre quarant’anni. E a chi gli aveva chiesto, quasi come fosse un rimprovero, come avesse fatto lui, cantante sperimentale d’avanguardia, ad adeguarsi al becero ambiente del pop da classifica, candidamente aveva risposto: “Semplice, ho portato il mio mondo nel loro, e non il loro nel mio”.

Quella sera aprì con L’Ombra della Luce, che intonò proprio mentre il sole stava tramontando. Da brividi.

Difendimi dalle forze contrarie
La notte, nel sonno, quando non sono cosciente
Quando il mio percorso si fa incerto
E non abbandonarmi mai
Non mi abbandonare mai

L’orchestra – piano, effetti e quattro archi – cuciva sottofondi delicati, sui quali la voce impastata di misticismo e mestiere dell’artista catanese si accomodava consapevole, con lo stesso confort con cui il suo karmico sedere poggiava sul solito tappeto persiano, immancabile seduta a ogni concerto.

Con Daria era una gara a chi si emozionava di più. Per lei Franco era unico. Per me pure. Spiritualità e musica erano le passioni che accendevano le mie notti invitandomi a spendermi durante il giorno. E il maestro Battiato le incarnava entrambe.

Con Le sacre sinfonie del tempo provai pura e autentica beatitudine.

Che siamo angeli caduti in terra dall’eterno
Senza più memoria: per secoli, per secoli
Fino a completa guarigione

Avevo ancora gli occhi chiusi quando attaccò una sequela di classici, con la beatitudine ad allargarsi a tutto il pubblico, anche quello meno attento, che letteralmente impazzì. La Cura, Summer on a solitary Beach, La Stagione dell’Amore, E Ti Vengo a cercare, Gli Uccelli, e via con alcuni dei passaggi più conosciuti della sua variegata discografia.

Due ore di concerto che volarono alte, come i gabbiani che regnano sui cieli della riviera. Al momento del bis i più esagitati invasero pacificamente il palco per stringere la mano al maestro, complimentarsi, farsi una foto. E lui sorridente, disponibile, empatico, a eseguire gesti e consuetudini di una vita trascorsa sul palco.

Poi, al suono di Le Nostre Anime il buon Franco salutò tutti, scese le scale, salì veloce in macchina e via.

Il mistico aveva lasciato la città.

Qualche mese dopo la carriera.

E dopo qualche altro silenzioso e chiacchierato anno, anche questo mondo.

Sciolto in un oceano di silenzio.

Franco Battiato, un artista unico e solo, diverso da tutti. D’altronde, come diceva lui stesso nell’omonima canzone, le aquile non volano a stormi.

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