100 anni di Bukowski

Vita e morte di un cavallo vincente

di Federico Traversa

Charles Bukowski, per gli amici il ‘buon vecchio Hank’ avrebbe compiuto oggi 100 anni e, al netto delle birre, credo ci avrebbe scritto sopra una poesia assai poco celebrativa. Come al solito niente sconti, a nessuno, a partire da sé stesso. D’altronde a lui la vita non non ne ha mai fatti. Figlio di una severa donna tedesca, austera e poco propensa all’empatia, e di un sergente americano di origini polacche violento, arrabbiato con la vita e del tutto incapace di trasmettere amore, Buk ha dovuto stringere i pugni e lottare sin da bambino.

Poco affetto e tante botte a casa, ghettizzato a scuola per via di una devastante acne giovanile che lo aveva reso una specie di mostro butterato, si allena a schivare e a resistere ai colpi da subito, come ben scrive in “Panino al Prosciutto” , il romanzo sui suoi turbolenti anni giovanili.

E deve continuare a lottare anche da adulto, quando lascia la casa degli odiati genitori e, perso nella Los Angeles del dopoguerra, inizia a collezionare sbronze, lavori sottopagati, motel di quart’ordine, donne disturbate e rifiuti su rifiuti da parte degli editori. Già perché quelle frustrazioni, quella rabbia, quella voglia di dimostrare a se stesso di essere qualcuno, Hank la sublima scrivendo amari ed ispirati versi, oppure caustici racconti capaci di descrivere meglio di una fotografia quel mondo di ultimi e disadattati che la società perbenista vorrebbe da sempre nascondere sotto il tappeto.
Eppure gli editori non lo considerano, no grazie su no grazie, umiliazioni, speranze tradite. Cambiano i mestieri – leggete “Factotum” se sentite di essere incompresi sul lavoro e poi ne parliamo – le relazioni, i motel, ma non il disperato amore di Hank per la vita.

Arriva il matrimonio con la poetessa texana Barbara Frye, che sposa senza averla mai vista, e che dirige la rivista Harlequin, sulla quale sono state pubblicate alcune sue poesie. E comunque lui l’aveva sempre detto che si sarebbe fatto ammazzare per la scrittura, figurarsi se lo spaventavano delle nozze di convenienza!

Il matrimonio dura meno di due anni, poi Buk é di nuovo in strada, a bere nei bar con quella ciurma di pazzi vagabondi che rappresentano la materia prima con cui plasma le sue storie.

In quegli anni beve talmente tanto da rischiare la pelle e finire in ospedale con un’ulcera perforata, da cui si salva solo grazie all’odiato padre, che gli dona un paio di sacche di sangue e gli regala un’assicurazione.

Nel 1964 Frances Smith, una delle tante donne con cui condivide un pezzo di vita, partorisce Marina Louise, sua figlia. Se con il sesso femminile avrà sempre un rapporto conflittuale – vedi cosa racconta in “Donne”, probabilmente il suo capolavoro – con Marina sarà sempre un padre dolce, affettuoso, capace di sciogliersi.

La bambina però cresce con la madre e non con lui, sempre più perso nel cuore nero della Los Angeles notturna, che prima vive e poi scrive.

Dopo anni di stenti, risse nei bar, scommesse alle corse di cavalli, sbronze, sesso cattivo e un odiato lavoro alle poste, anni in cui non smette un solo giorno di scrivere, Hank ce la fa, poco alla volta ma ce la fa, diventando uno scrittore underground molto conosciuto in città; i suoi racconti e poesie vengono pubblicati sulle principali riviste letterarie, quelle che oggi, nel nostro mondo fatto di smartphone, social e imbecillità non sappiamo più neanche cosa siano, sostituite da… Niente.
Il resto lo fa “Taccuino di un vecchio porco” , una delirante serie di racconti che Buk pubblica a puntate prima sull’Open City di Los Angeles, ennesimo giornale underground dell’epoca, e poi su Los Angeles Free Press.

Nel 1969, John Martin, un ricco imprenditore che ha deciso di fondare una casa editrice, si innamora dei suoi scritti e gli offre 100 dollari al mese per tutta la vita per scrivere i suoi libri e pubblicarli con la Black Sparrow Press. Ce ne fossero oggi di mecenati cosi, grazie John!

È il premio a una vita di stenti e fatica, la vittoria più bella sul ring dell’esistenza, e pazienza per i tanti pugni presi. Quando ce la fai anche le cicatrici diventano poesia.
Hank finalmente si licenzia dall’odiato lavoro alle poste e può dedicarsi all’unica cosa di cui davvero gli freghi qualcosa: scrivere.

A 49 anni, Charles Bukowski é a tutti gli effetti uno scrittore di professione. Meno di un mese dopo il suo licenziamento esce “Post Office”, il libro della consacrazione. Come in tutti i suoi romanzi, eccetto forse “Pulp” , lo scrittore inventa ben poco, raccontando la sua vita e quella degli strani personaggi che incontra. Siamo dalle parti del verismo più nero e crudo, forse un poco esagerato e reso più caustico dal vino, ma certamente autentico.

Dai 50 anni in poi il buon vecchio Hank si riprende con gli interessi quello che la vita non gli ha dato prima. Diventa uno scrittore famoso, tiene reading dall’alto tasso alcolico seguiti da centinaia di studenti che lo venerano come una rockstar, fa l’amore con donne giovani e bellissime, le stesse che anni prima lo denigravano per il suo viso deturpato dall’acne. Viene realizzato persino un film su di lui, “Barfly”, a cui collaborerà senza troppa voglia, con Mickey Rourke a interpretarlo.

La folle lavorazione della pellicola, manco a dirlo, Buk la racconta in uno dei suoi ultimi romanzi: “Hollywood Hollywood!”.

Si riprende tutto con gli interessi, insomma, anche la salute, grazie all’incontro con la giovane Linda Lee Beighle, proprietaria di un ristorante di cibo salutare, aspirante attrice e devota del mistico indiano Meher Baba. Con Linda a fianco, Hank riesce a bere un po’ meno e a condurre una vita meno sregolata, tanto da arrivare a dichiarare che l’incontro con quella biondina gli ha regalato 10 anni di vita.

Dall’incasinata East Hollywood si trasferisce con la Beighle nella comunità rurale di San Pedro, nella zona più a sud di Los Angeles, dove si dedica al giardino, ai suoi amati gatti e alla scrittura. Meno volentieri a incontrare i tanti aspiranti scrittori che ogni giorno bussano alla sua porta, anche se poi un momento lo trova per tutti.

E poi continua a scrivere, ogni giorno, taccuini di racconti e poesie, sempre e immancabilmente buttati giù con la fedele macchina da scrivere.

Abbastanza sereno – non parlo di felicità perché alla felicità le persone intelligenti gli si tengono tutto sommato distanti – Buk ci lascia il 9 marzo del 1994, a 73 anni, colpito da una leucemia fulminante.

Negli ultimi anni si era avvicinato al buddhismo quindi sospetto fosse venuto a patti con la morte, accettandola serenamente. Per lo meno è questo ciò che si percepisce leggendo “Pulp”, il suo ultimo romanzo, e alcune poesie del periodo.
Il buon vecchio Hank probabilmente l’ha spuntata anche stavolta…

D’altronde i cavalli di razza non si vedono all’arrivo?

E tanti auguri Buk!

Perchè Chinaski non sarà al Salone del Libro di Torino

Cara Tribù, anche quest’anno inizia il Salone del libro di Torino, e anche quest’anno noi non ci saremo. Si tratta di una scelta, che facciamo per il secondo anno di fila dopo quattro presenze consecutive, che nasce naturalmente da considerazioni di ordine pratico, siamo prima di tutto genovesi – che non vuol dire solo tirchi, ma accorti – e non possiamo non notare che i costi salgono e l’interesse del pubblico scema. Ma il fattore economico è solo una piccola parte del problema.

Il problema vero è il contesto.

E il contesto parla di un mercato dell’editoria sempre più in mano ai grandi gruppi, che al Salone di Torino spadroneggiano monopolizzando eventi, spazi, pubblico. L’oligopolio tutto italiano, che vede pochi gruppi a gestire sia pubblicazione, che distribuzione e vendita, sta strangolando la credibilità di questo settore, e intanto le librerie indipendenti chiudono, le case editrici indipendenti chiudono, le testate indipendenti chiudono, l’informazione si dissolve sulla rete informatica coll’illusione di sentirsi meno sola. E intanto, il pubblico ha sempre meno scelte, e sembra quasi esserne contento. E intanto, il consumo di libri, di qualsiasi natura, sta diventando un fatto davvero marginale, in questa che dovrebbe essere l’era della comunicazione. Cosa sta mancando, davvero? Non abbiamo diagnosi né ricette noi di Chinaski. Sappiamo soltanto che la nostra produzione soffre, incespica, ma continua, cocciuta e sorda, di fronte a tutti gli spauracchi che ci vengono agitati contro, più o meno in buona fede. Sappiamo soltanto che adesso un libro che ieri, nel 2011, poteva raccogliere 1500 prenotazioni, e non stiamo parlando di cifre impressionanti, oggi ne fa a mala pena 400. Sappiamo solo che il nostro fatturato in libreria ieri era l’85% del nostro fatturato totale, oggi non arriva al 30%. E non è merito dell’aumento del nostro fatturato totale, tutt’altro. Sarà solo colpa nostra? Di certo, non siamo più sicuri di trovare in questo tipo di fiera il contatto con il nostro pubblico, con la nostra Tribù, che continua a crescere, nonostante la poca attenzione che il circo della comunicazione ci ha normalmente rivolto, nonostante il fatto che sia sempre più difficile fare impresa in questo paese, nonostante l’incessante trasformazione dell’editoria in mercato di mero consumo, a discapito di tante idee interessanti, ma che non sono abbastanza rivestite del dovuto clamore mediatico. Di certo, nonostante tutto, continuiamo a fare libri, e andremo anche a diverse fiere, ma di quelle senza pretese, di quelle fatte per amore dei libri e delle parole, fatte per esprimere comunità di interessi e orgoglio per il proprio lavoro. Non siamo gente che lo fa per il gusto del bel gesto. A noi piace vendere libri, e piace vedere le persone felici di acquistare i nostri libri. E pensiamo sia lecito sperare di guadagnarci sopra il giusto. Quello che non ci piace è la cancellazione dell’istruzione dai pilastri di fondazione del Paese, quello che non ci piace è l’eliminazione delle persone in favore dei personaggi, quello che non ci piace è l’impoverimento del linguaggio, l’impoverimento delle coscienze. Chiaramente, non è tutta colpa del Salone del libro di Torino, ma questo evento è diventato un po’ un simbolo di tante cose in cui non riusciamo più a riconoscerci, senza per questo sentirci né migliori né peggiori di quelli che adesso sono a Torino ad esporre, e sono tanti, tra i quali anche tanti nostri colleghi piccoli e tostissimi che hanno tutta la nostra stima. Ma la sgradevole sensazione di essere il contorno decoroso che rende accettabile l’ennesima esibizione di forza da parte dei soliti noti stiamo cercando di togliercela di dosso. Oggi un grande editore italiano lancia un nuovo formato di libro. Forse può essere una soluzione in più per affrontare la crisi, anche se si tratta di una soluzione assai costosa dal punto di vista della produzione, e che non sarà facile da diffondere, nemmeno per cotanto colosso. Noi restiamo piccoli per un altro po’ e cerchiamo di continuare a dedicarci ai contenuti. E ai nostri lettori.

Federico Traversa ricorda Don Gallo

Venerdì 28 marzo alle ore 21.00, Circolo Arci Barabini di Trasta (Genova).
Lo scrittore e responsabile editoriale di Chinaski Edizioni, Federico Traversa, presenterà il suo libro “Sulla Strada con Don Gallo”.Una serata per ricordare anni di viaggi e di esperienze toccanti accanto a Don Andrea.

Sulla Strada con Don Gallo Booktrailer

Il booktrailer di “Sulla Strada con Don Gallo” di Federico Traversa, Chinaski Edizioni.
http://www.ibs.it/code/9788889966938/traversa-federico/sulla-strada-con-don.html
http://www.youtube.com/watch?v=_IfOmjZvypY