“Ci Manda Manu Chao” – Quella volta che con Tonino Carotone incontrammo Don Gallo

di Federico Traversa

Un notte di tantissimi anni fa, mentre io e Tonino ci stavamo bevendo Barcellona e tutti i suoi fantasmi, incontrammo Manu Chao e, a dire il vero, un sacco di altra gente. Eravamo tutti stipati in un baretto vagabondo del barrio gotico, il Mariachi. Santi e peccatori, artisti e spacciatori, risate e rimpianti galleggiavano insieme, protetti da quelle quattro mura che odoravano di vino, tabacco e venere. E dove si suonava una musica strepitosa. Erano gli ultimi anni di quella mescola di suoni e generi frettolosamente definita patchanka, con gente tipo Sergent Garcia, Amparanoia, Macaco, Gogol Bordello, Bandabardò (sempre nel cuore Erriquez, grazie del ballo, già manchi da morire) e tanti altri a incendiare la notte con suoni contaminati che odoravano di tutte le diversità del mondo. Un’ultima grande stagione creativa prima che la musica si accartocciasse su stessa, appiattendosi fino a far scomparire tutte le sue meravigliose sfumature per diventare qualcosa di piatto, da ascoltare distrattamente sulle casse marce di un cellulare grande come una tavoletta di cioccolato.

Ma torniamo a visualizzare quella notte. Eravamo al Mariachi, proprio nel cuore pulsante del barrio chino, e la prima cosa che mi chiese Manu appena venne a sapere che ero di Genova, fu se conoscessi Don Gallo. Certo, di fama lo conoscevo eccome, nella sua comunità erano transitate tante anime tormentate con cui avevo intrecciato pezzettini di destino, ma personalmente non l’avevo mai incontrato.

Il desaparecido, stretto nella sua camicia a quadri, i capelli scombinati che spuntavano da un berrettino verde militare, mi consigliò di rimediare al più presto perché, parole sue, “fare due chiacchiere con Andrea te pone los pelos de punta”. Questo disse, o qualcosa del genere.

A quel punto anche Tonino, che da sempre si definiva un “antivaticanista convinto”, manifestò la voglia di conoscere questo strano prete che al Padre Nostro accompagnava i canti partigiani e più che il rosario amava recitare gli articoli della costituzione; sempre in mezzo a quei figli di un cane che non avevano niente, sempre in giro in quei quartieri dove la luce del buon Dio non arrivava con i suoi raggi. E per quanto riguarda quella notte, è più o meno tutto.

Passarono i mesi. Con Tonino finimmo di scrivere Il Maestro dell’Ora Brava, il nostro delirantediario di peccati, viaggi e risate sparse come sale sulle ferite delle tante notti trascorse insieme fra l’Italia e la Spagna. Quel libro ottenne una buona quanto inaspettata visibilità nazionale. Uscirono articoli sui principali quotidiani, venimmo invitati da Fabio Volo a MTV, e la rivista Rolling Stones ci dedicò un bel paginone definendo il libro una sorta di “confessione laica”. Mediaticamente fu davvero un bel colpo, eppure allora il libro non vendette tantissimo e in breve tempo sparì dagli scaffali delle librerie; poi con il tempo si è rivalutato e oggi, un po’ a sorpresa, non solo è andato esaurito ma è diventato quasi una lettura di culto per la generazione SDC (sta per “scappati di casa”, lo specifico per chi non è pronto). Su ebay l’ho visto vendere a prezzi assurdi e un paio di ragazzi ai concerti ne portarono una versione fotocopiata per farsela firmare! Queste sì che son soddisfazioni!

Con Tonino nacque un’amicizia speciale e quando lo portai dalle mie parti, in mezzo ai miei disperati, lui – ragazzo di strada di Pamplona – si sentì talmente a suo agio che Genova diventò la sua seconda casa. Cominciò a fermarsi spesso da me e, un giorno in cui avevamo un po’ più tempo del solito, decidemmo di andare a conoscere Don Gallo.

Andrea aveva da poco pubblicato Angelicamente Anarchico, un libro che aveva ottenuto un successo pazzesco. La storia di questo prete di strada e dei suoi disgraziati stava toccando il cuore di migliaia di persone.

Così chiamai la Comunità, mi presentai e poi dissi che Tonino Carotone, grande amico di Manu Chao, era in città e desiderava incontrare Don Andrea Gallo. Risposero che gli amici di Manu erano anche amici loro e che saremmo potuti passare quando volevamo. Così, verso sera, partimmo alla volta della Comunità San Benedetto, dieci minuti d’auto da casa mia. Eravamo io, Tonino e Piluca, la sua compagna nonché cantante dall’ugola morbida come un petalo di rosa. Donna incredibile, di un’umanità di altri tempo, alta, altissima. In tutti i sensi. Scalza misura circa un metro e ottanta. Con i tacchi sfiora il metro e novanta. Con Tonino che arriva a malapena al metro e settanta… insieme sono buffissimi.

Appena entrammo nell’ufficio e il Gallo vide Piluca, tuonò con la sua voce arrochita dall’immancabile toscano che stringeva fra le labbra: “Ma cos’è questo ben di dio?”.

Scoppiammo tutti a ridere, il ghiaccio si era rotto nel tempo dell’attacco di una rumba.

Chiese a due ragazzi della Comunità di andare a prendere delle birre e brindò al nostro arrivo. Spuntò anche una bottiglia di grappa barricata, se non ricordo male.

Dire che quell’incontro è stato uno dei momenti più importanti della mia vita non è un’esagerazione.

Andrea cominciò a raccontarci aneddoti, storie mitiche, barzellette e segreti, alternando momenti di profondità ad altri di leggerezza assoluta. Non ci voleva un genio per capire quanta straordinaria umanità e gentilezza abitassero quel corpo minuto, stretto in un maglione blu scuro.

Il Gallo non era soltanto un prete di strada che si prodigava per dare ai ragazzi la possibilità di vivere un’esistenza migliore ma anche un uomo di una cultura, un’intelligenza, un’arguzia e un’apertura mentale che probabilmente non avrei raggiunto nemmeno vivendo altri cento anni.

Stordito da mille sensazioni, mi fermai a pensare a quanto mi avrebbe arricchito collaborare con una persona del genere, assorbendo come una spugna tutte le cose che aveva da raccontare.

Già con Tonino avevo cominciato a parlare di certe cose, impegnandomi nella testimonianza di storie legate all’impegno sociale, alla spiritualità e a una visione del mondo il più possibile libera dai dogmi.

Con Don Gallo avrei potuto proseguire questo nuovo percorso affrontando quelle tematiche che sentivo vicine. Tematiche raccontate dalla voce di chi aveva vissuto e conosceva un miliardo di cose più del sottoscritto. A quel punto, dandogli del tu come mi aveva ordinato, gli domandai se fosse sotto contratto con qualcuno, perché mi sarebbe piaciuto lavorare con lui. Rispose che collaborava con chi capitava, l’importante era far passare quello che aveva da dire e magari riuscire a portare due soldi alla Comunità, che era sempre in rosso.

Gli spiegai allora che anche io avevo un progetto editoriale, tanto entusiasmo e altrettanta voglia di scrivere. L’unica cosa che mi mancava erano i soldi ma ormai ci avevo fatto l’abitudine, ridotto i bisogni al minimo e imparato a vivere con poco. E mal che andasse avevo ancora due reni perfettamente funzionanti che certamente avevano un buon valore di mercato!

Rise come un pazzo. Poi si fece raccontare di nuovo la mia storia, chiamò il suo assistente e gli disse: “Ma ti rendi conto, Marco? Questo ragazzo faceva il commesso in un negozio di scarpe e si è licenziato perché ama la letteratura e vuole fare i libri. E non è figlio di un industriale o di un professore ma di un ferroviere! Ma come si fa a non dargli una mano?”.

Mi suggerì di richiamare in Comunità qualche giorno più tardi per fissare un appuntamento, così avremmo potuto iniziare a lavorare.

Uscii da lì che ero contento come poche volte in vita mia.

Poco cristianamente io e Tonino ci ubriacammo per festeggiare.

Tonino in realtà non aveva niente da festeggiare, si ubriacò per supporto.

E per questo ancora lo ringrazio.